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Il consumo energetico del mining di Bitcoin: tra realtà e finzione

La criptovaluta Bitcoin è da qualche mese sulla bocca di tutti. Chi prima non la conosceva, adesso la conosce. Chi prima la conosceva, adesso ha approfondito. Il motivo? In pochissimo tempo la valuta digitale più famosa al mondo ha avuto una crescita senza precedenti. Fino ad arrivare ad una quotazione di 61mila dollari. Una popolarità tale che in molti hanno investito oppure avanzato le proprie idee e le proprie paure. Tra questi ultimi c’è il miliardario Bill Gates, che ha lanciato l’allarme sul consumo energetico del mining di Bitcoin. Dicendo che la madre delle criptovalute sia la principale fonte di inquinamento per l’ambiente. Andiamo a vedere cosa c’è sotto questa “crociata” contro il bitcoin. 

Il processo del mining bitcoin 

Non pensate che voglio gonfiarvi la testa con paroloni iper tecnici. In questo paragrafo la mia intenzione è quella di farvi capire, in parole spicce, il processo del mining BTC. Il mining è il processo che permette di generare nuovi blocchi della blockchain di Bitcoin. Ovvero di inserire definitivamente nel ledger o nel registro di Bitcoin una serie di transazioni. Con questa operazione di mining vengono inoltre stampati i nuovi bitcoin. Inoltre, per chi non lo sapesse, “viene generato in media un blocco ogni 10 minuti”. Minare significa risolvere un complicato algoritmo crittografico. Per cui servono dei mega computer con una potenza di calcolo molto elevata. E un consumo di energia elettrica spropositato. 

Consumo di energia elettrica per minare

Non c’è dubbio che la produzione e la distribuzione di bitcoin hanno dei costi considerevoli a livello di consumo elettrico. Era una volta che si poteva minare tranquillamente a casa, con il proprio PC. Adesso le cose sono cambiate. Oggi esistono i Mining Pools per supportare la potenza di calcolo necessaria. Questi sono gestiti come società. Questi sono dei grandi capannoni. Dove all’interno c’è un numero infinito di processori e di ventilatori per raffreddare i computer. Si trovano in stati dove il costo dell’energia elettrica è molto più basso. Ad esempio è impossibile che questi siano in Italia, dove il prezzo medio dell’energia elettrica è €0,22 kW/h (vedi Globalpetrolprices). Mentre è più semplice vederli in paesi dove il prezzo medio è più basso, come in Venezuela o Sudan. 

Secondo la ricerca i Bitcoin consumano circa 121.36 terawattora (TWh) all’anno. Ovvero tanto quanto il fabbisogno energetico dell’intera Argentina. Invece l’impronta ecologica di Bitcoin, misurata in emissioni di CO2, sfiora i 37 Milioni di Tonnellate di CO2 all’anno
Il grafico di bitcoinenergyconsumption.com

L’impatto ambientale del mining bitcoin 

Pochissime settimane fa l’Università di Cambridge ha pubblicato un report riguardante proprio il mining di bitcoin. Secondo la ricerca i Bitcoin consumano circa 121.36 terawattora (TWh) all’anno. Ovvero tanto quanto il fabbisogno energetico dell’intera Argentina. Invece l’impronta ecologica di Bitcoin, misurata in emissioni di CO2, sfiora i 37 Milioni di Tonnellate di CO2 all’anno (vedi Digiconomist). Questo dato “corrisponde all’impatto ambientale di una nazione come la Nuova Zelanda”. Inoltre è stato rivelato che una transazione BTC consuma quanto 600mila transazioni di Visa. 

Tutti in Cina! 

La maggior parte del mining di bitcoin viene svolto in Cina. Infatti la Cina ospita la maggior parte dei principali minatori di bitcoin del mondo. Come mai questa scelta? Le autorità sono più clementi o c’è altro? La risposta è molto semplice e non c’entra niente il fatto che le autorità siano più morbide rispetto agli Stati Uniti. Semmai lo fossero, visto che stiamo parlando sempre di un regime. Ma il motivo è perché il prezzo dell’elettricità è più basso. Inoltre al contempo la fonte utilizzata è prevalentemente il carbone. Infatti le regioni che dipendono dal carbone sono più attratte da questa attività. Per dirla semplicemente: “il carbone sta alimentando Bitcoin”

I “criptodanni” della pratica di Mining 

Ma torniamo al consumo energetico del Mining di Bitcoin. Poco più di un anno fa, anche l’Università del New Mexico ha fatto degli studi riguardo questa pratica. I ricercatori sostengono che nonostante le pratiche minerarie creino valore finanziario. Il consumo di elettricità sta generando “criptodanni”. Un termine coniato per descrivere la salute umana e gli impatti climatici dello scambio digitale. Ma oltre all’impatto sulla salute umana dovuto all’aumento degli inquinanti. Gli studiosi hanno esaminato le implicazioni del cambiamento climatico. E il modo in cui l’attuale sistema di estrazione mineraria incoraggia un elevato consumo di energia. 

Rischio morti premature? 

I dati dell’Università New Mexico mostrano che durante il 2018, il costo dei danni necessari per creare Bitcoin corrispondeva al valore dello scambio stesso. Tali danni derivano dall’aumento degli inquinanti generati dalla combustione di combustibili fossili. Utilizzati per produrre energia, come anidride carbonica, polveri sottili, ossidi di azoto e anidride solforosa. L’esposizione ad alcuni di questi inquinanti è stata collegata ad un aumento del rischio di morte prematura. Ovviamente non vi è certezza di questo fattore. Ma è una questione ancora dibattuta. 

Una panoramica sulle banche 

Sarà che esistono da anni, ma sento pochissime persone puntare il dito contro le banche per salvaguardare l’ambiente. Eppure proprio in casa nostra abbiamo il terzo fattore che genera emissioni di CO2. E non sto parlando del Mining di Bitcoin, ma della finanza tradizionale italiana. Lo hanno rivelato Re:Common e Greenpeace nel nuovo rapporto “Finanza Fossile”. Lo studio dice che banche, assicurazioni e investitori italiani hanno causato l’emissione di 90 milioni di tonnellate di CO2. Attraverso i loro finanziamenti all’industria fossile nel solo 2019. Ovvero un volume di gas a effetto serra superiore a quello prodotto dall’Austria in un singolo anno. 

Unicredit e Intesa Sanpaolo sotto l’occhio del ciclone 

Gli studi sopracitati hanno puntato il dito principalmente contro due banche italiane. Stiamo parlando dei colossi finanziari Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il rapporto sottolinea che queste due organizzazioni prestano miliardi alle aziende più inquinanti al mondo. In qualche modo sono co-responsabili dei danni climatici causati da quelle società. Infatti, stando sempre a quegli studi, sono responsabili dell’80% dei 90 milioni di tonnellate di emissioni del comparto finanziario. Pari a quattro volte quelle generate da tutte le centrali a carbone in Italia. 

Anche la BCE fa la sua parte 

Nell’ottobre scorso è stato pubblicato uno studio di Greenpeace e una serie di Università che non possiamo prendere sottogamba. Sotto la lente di ingrandimento c’è andata la Banca Centrale Europea. Pare proprio che la BCE acquista spesso obbligazioni societarie di aziende ad alta intensità di carbonio. Cioè di aziende il cui impatto ambientale è serio e pericoloso per il clima. Tra i beneficiari della politica monetaria della BCE c’è Eni, azienda controllata dallo Stato italiano. Nello studio si evidenzia come, nel 2019, Eni si sia resa responsabile di 296 milioni di tonnellate di emissioni di CO2. Nonostante questo scenario poco lusinghiero per l’azienda. Eni ha ricevuto ugualmente fondi dalla BCE per continuare ad alimentare le proprie attività inquinanti.

Adesso non vogliamo far partire una guerra contro le istituzioni finanziarie. Anche perché se sono sopravvissute fino ad ora, non è di certo per noi che falliscono o non finanziano più aziende inquinanti. Certo, sarebbe il caso se la smettessero. Però è bene che voi sappiate tutto. Che l’ambiente è danneggiato non solo da quel mining di bitcoin brutto e cattivo. Perché spesso fa comodo puntare il dito contro qualcosa di nuovo. Perché si ha paura di “quel nuovo”. È bene che voi sappiate che il pianeta è in pericolo per una serie di atteggiamenti sbagliati. Di scelte scellerate o semplicemente di attività che producono beni e servizi utili per le persone. 

Le strutture minerarie cinesi sono responsabili di circa la metà del consumo energetico del mining di bitcoin.
La tabella di digiconomist.net presenta una ripartizione del consumo energetico degli impianti per il mining di bitcoin

I pagamenti digitali non sono il male  

Sfatiamo un altro mito. Molti penseranno che una transazione con carta di credito ha un consumo di energia esagerato. Eppure non è così. O almeno non è come si pensa. A rivelarlo sono stati due studi olandesi. Questi hanno messo a confronto i pagamenti digitali con quelli contanti. Ed è emerso un risultato, per i più, inaspettato. Per quanto riguarda il pagamento in contanti, l’impatto ambientale di ogni transazione è pari a 4,6 grammi di CO2.

L’impatto è dovuto in particolare alla fase di produzione delle monete (32%) e a quella operativa (64%). Ovvero all’esercizio degli sportelli automatici e al trasporto di monete e banconote (64%). Per quanto riguarda le transazioni cashless, queste hanno invece un impatto ambientale di 3,78 grammi di CO2. In pratica, come una lampadina a basso consumo energetico da 8 W lasciata accesa per un’ora e mezza. 

A dirla tutta, quindi, i pagamenti digitali non solo combattono l’evasione fiscale, per la loro natura di tracciabilità. Ma sono anche amici dell’ambiente, o almeno non lo danneggiano come i contanti. 

L’ambiente digitale ai tempi del covid-19 (e non solo)

In un anno le cose si sono letteralmente ribaltate. La pandemia da coronavirus ha aumentato l’uso dei dispositivi digitali. Computer, dispositivi elettronici e infrastrutture digitali sono loro che consumano la stragrande quantità di elettricità. Di conseguenza, l’energia elettrica, se non proviene da fonte rinnovabile, produce emissioni di gas serra. Ma anche nel nostro quotidiano domestico, il consumo di energia è super esagerato. Un forno elettrico convenzionale da 2000W usato alla massima potenza per 3 minuti consuma 0,1 kWh. Un frigorifero con freezer in un anno consuma 150kWh -190kWh. Ricaricare lo smartphone consuma 4kWh l’anno. Inoltre guardare 10 minuti di video in streaming consuma 1500 volte più elettricità che la ricarica della batteria di uno smartphone. 

Conclusione

Abbiamo messo questi dati non per farvi spaventare. Lungi da noi farlo. Ma la nostra intenzione è quella di farvi riflettere. Non è che adesso spegnete il dispositivo con cui state leggendo questo articolo e andate a buttare il frigorifero. Oppure decidete di tornare alla linea fissa e non possedere uno smartphone. Sarebbe impensabile come cosa. Così come non possiamo chiedere di cessare il mining di bitcoin per l’elevato consumo energetico. Voi ci direte: si ma il processo di estrazione di criptovaluta è molto più dispendioso rispetto agli altri! Sicuramente è così, ci sono i dati che lo dicono. Ma non è che eliminando il mining si elimina l’inquinamento ambientale

E allora cosa possiamo fare? Sicuramente l’obiettivo è quello di generare più elettricità da fonti rinnovabili. Così da abbattere i costi e renderla più vantaggiosa per questo tipo di attività ad altissimi consumi energetici. Ad esempio in Islanda ed in Norvegia quasi tutta la produzione di energia è rinnovabile. E i miner di criptovaluta sfruttano questa situazione vantaggiosa. 

Bastano le energie rinnovabili a rendere Bitcoin sostenibile? Questo non lo possiamo dire con certezza. Anche perché ci sono teorie contrastanti proprio tra gli analisti. C’è chi crede che le fonti rinnovabili tengono a bada questa attività. E chi invece è sempre preoccupato riguardo l’impatto energetico del mining di bitcoin. E che quindi l’eccessivo consumo e inquinamento ambientale di Bitcoin non possa essere ridotto attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili alternative. 

Detto questo non possiamo pretendere di salvare l’ambiente eliminando il bitcoin. Altrimenti dovremmo eliminare tutta una serie di privilegi che abbiamo. Ad esempio ordinare un pacco su Amazon ha un dispendio energetico non indifferente. Il processo per arrivare a casa ha tutta una serie di conseguenze ambientali dannose. Ma non per questo è stata eliminata la società di Bezos.

Quello che possiamo fare sono i piccoli gesti. Evitare di farci arrivare quel pacco tramite Prime e aspettare 3 giorni in più. Evitare di stare troppo tempo a guardare video in streaming e fare una passeggiata per strada. In questo periodo con la mascherina, ovviamente. Non cambiare lo smartphone ogni anno ed usare il forno solo quando necessario. Se tutti noi facessimo questi piccoli accorgimenti, il nostro pianeta soffrirebbe di meno. Basta rendersi conto che tutti noi abbiamo il potere per cambiare le cose. Sta a noi decidere il nostro destino, basta solo volerlo. Senza puntare il dito contro niente e nessuno. Senza puntare il dito contro il consumo energetico del mining di bitcoin.

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